Càpita che qualche volta lui mi chieda: “a che ora stacchi?”.
Non un generale ‘a che ora finisci’ o un tecnicamente preciso ‘che turno hai oggi’.
Ogni volta, quando lo domanda, a me vien sempre di pensare alle torte di mele con la crema, a brocche mezze vuote sotto ai percolatori del caffè. Al ginger-ale.
Ai tovagliolini ripiegati a triangolo e a poliziotti in divisa (certamente irlandesi o polacchi o italiani) che stasera usciranno con infermiere (certamente irlandesi o polacche o italiane).
Ai blu e rossi e verdi di Hopper. Alle insegne al neon dei drive-in.
Ai mulinelli di polvere sulla strada.
Alle piogge del Maine e ai soli inflessibili e d’acciaio dei deserti.
A Caddy Compson, agli empori, a Dell Parsons in fuga verso il Canada.
Ai meleti di Irving e a Marty McFly.
Ai vialetti che tagliano i prati. Alla salopette di Scout.
A James Dean ne ‘Il gigante’. Alla sua macchina che andava a poco più di sessanta all’ora, eppure.
A Frank e April Wheeler e ai loro cocktail bugiardi.
A Marion Cunningham e i suoi grembiuli.
A una ragazza che allatta ed è tutto il dolore dell’umanità. Non domanda ‘a che ora finisci’.
Chiede ‘a che ora stacchi’.
E non ha la minima idea di regalarmi, con una frase minima, il panorama affettivo e geografico più struggente.
26 Ottobre 2018 il 12:22
Questo pezzo è letteratura di un certo livello…
26 Ottobre 2018 il 13:33
Grazie Caterina:)
27 Ottobre 2018 il 10:04
Tu sei molto buona