
La sottovita
Vivo, da molti anni ormai, una vita che concede pochi, esili spazi all’ozio; alla possibilità di far finalmente verdeggiare quel giardino interiore di cui parla Epicuro nella sua lettera a Meneceo.
Mi manca così tanto questa possibilità, la desidero talmente tanto che mi sono fatta tatuare sulla schiena un frammento della lettera per non dimenticarmi mai, nemmeno nel turbine molesto del quotidiano, qual è il mio desiderio più vero e profondo.
Se penso alle pagine della Sottovita penso a questo desiderio che sottende alla vita come un fiume carsico, come il Timavo, che scompare per lunghi tratti del suo percorso per riapparire, poi, magico e possente, in luoghi che non ti aspetti.
Tradirsi nel corso degli anni è cosa semplice: il lavoro (anzi, i lavori perché uno non basta più, non sempre, non a Milano), la cura dei figli, le innumerevoli lavatrici da stendere, la cucina da rigovernare, le fatture, gli amministratori, le scadenze, il medico, i genitori che invecchiano.
Il quotidiano ti assorbe, ti mastica e tu ti tradisci, appunto, rimandando i conti con il tuo desiderio: ci sarà tempo, adesso no, adesso sono stanco.
Poche pagine, poche parole, tutte pesate con cura, le più leggere e le più pesanti per raccontare il desiderio, il tradimento e la mancanza.
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