“A quel tempo ero pazzo. Tra i miei bagagli tenevo una sceneggiatura di settecento pagine sulla vita di Melville, l’autore di Moby Dick, il più grande scrittore americano, colui che, lanciando il capitano Achab sulle tracce della balena bianca, aveva innescato un ammutinamento di dimensioni mondiali e offerto attraverso i suoi libri turbini di profezie a cui da anni mi ero aggrappato; Melville la cui vita era stata una continua catastrofe, che in ogni istante non aveva fatto altro che lottare contro l’idea del proprio suicidio e, dopo aver vissuto favolose avventure nei mari del sud e conosciuto il successo raccontandole, si era di colpo ‘convertito alla letteratura’, cioè a una concezione della parola come verità e aveva scritto Mardi, che nessuno aveva letto, poi Pierre o delle ambiguità, che nessuno aveva letto, poi L’uomo di fiducia, che nessuno aveva letto, prima di segregarsi per gli ultimi diciannove anni della sua vita in un ufficio della dogana di New York e dichiarare al suo amico Nathaniel Hawthorne “In questo secolo, anche se scrivessi i Vangeli, finirei nell’immondizia”.
Forse ero pazzo, ma avevo scritto quella sceneggiatura per far capire cosa viva dentro la solitudine di uno scrittore…”
Herman Melville e Michael Cimino e la ricerca della purezza.
Fantasmagorico, straziante, assolutamente irresistibile per l’umorismo intelligente e al tempo stesso ‘ferito’.
Alla ricerca del daino* bianco pure io (ma a me la corona è caduta, mi sa).
Yannick Haenel, Tieni ferma la tua corona, Neri Pozza
*Deer. Quello a cui De Niro non spara più. E si salva (e ci salva pure a noi, un po’)
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