Quest’anno ho imparato che essere obbligata alla distanza, al rifugio, al negarsi al mondo mi ha concesso tutta una serie di alibi che in condizioni normali avrei faticato a costruirmi. Tutte le paure hanno trovato un nido di ovatta e silenzio nei non si può, non è il momento adatto. E così, avvolta nei pannicelli caldi della contingenza e degli obblighi superiori al ritiro, mi sono ficcata nel letto comodo dei ‘poi vediamo’. Domani. Non oggi. In un futuro a cui penserò un’altra volta e al quale oggi rinuncio, oggi non ho i mezzi.
Accudire, costa. Aver cura di sé, costa, Tenere in piedi il quotidiano, costa. Rendere conto, costa.
Guardarsi dentro, costa. Amare, costa. Troppo.
Per tutto questo è necessaria la moneta del coraggio, ma una mattina, mi sono accorta che il coraggio aveva fatto i bagagli e se n’era andato di casa, stanco delle continue proroghe e procrastinazioni, lasciandomi nel nido insieme alle paure, fameliche e prolifiche – del resto, ben nutrite e al caldo. Come ogni anno, la vigilia di Natale inizio la rilettura di un classico e all’alba, oggi, tra gatte e coperte e Tolstoj, ho iniziato a stendere piani di ricerca del mio coraggio perduto. Non è tardi, non sarà ancora lontano.

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