Se è vero che nomen omen, Rebecca s’è scelta il suo strappandolo alle pagine di Rosersholm di Ibsen. Sconvolge i canoni dell’understatement britannico, infiamma la flemma proverbiale della quieta borghesia. Ventenne, scrive, furibonda e sensibile. Ama con tutta la passione e la forza che ha.

Arriva come un vento potente nelle vite degli uomini e spagina la quiete dei circoli letterari. Viaggia, scrive, ama. Non si acquieta mai. La seguo mentre si sposta tra i paesi della Jugoslavia e nei Balcani a ridosso di una nuova guerra (Black Lamb and Grey Falcon – A journey through Yugoslavia).

Ma la amo, moltissimo, nel suo primo romanzo dedicato alla famiglia Aubrey.

È difficile commentarlo.

C’è l’infanzia, nella sua versione più lucida, perversa quasi.

“Un bambino è un adulto temporaneamente costretto a condizioni di vita che escludono qualsiasi possibilità di essere felice. Quando si è piccoli ci si trova a dover lottare con delle menomazioni simili a quelle inflitte da qualche terribile incidente o da una malattia; però mentre le persone menomate o paralizzate vengono compatite…nessuno prova dispiacere per i bambini, nonostante siano sempre a piangere e gridare la loro frustrazione e il loro orgoglio ferito”.

Eppure è proprio lo sguardo di questi bambini, questi figli della famiglia Aubrey e di Rose in particolare che ci restituisce un’immagine mobile, plurisfaccettata e totale di un mondo adulto disperato e disperante. C’è la musica, che riflette e amplifica ad ogni pagina sentimenti e fatica del vivere quotidiano. Musica che delinea i caratteri dei personaggi

Quando la mamma suonava bene…il suo modo di suonare era il Vangelo e l’evangelista che lo predicava, e esigeva una chiesa che venerasse un dio che solo in quell’atto si rivelava pienamente. Quando invece suonava il cugino Jock, creava intorno a lui un mondo in cui tutto era conosciuto, e nel quale l’arte non era una scoperta ma un ornamento. Tutto allora era triviale, e sia l’arte sia la vita erano prive di significato. La sua esecuzione era perfetta, e tuttavia era parte di quello stesso processo di distruzione che aveva sfigurato la stanza nella quale sedevamo…”.

E poi.

Cultura e conoscenza sono strettamente legati alla precarietà, in questo romanzo: un binomio eccentrico per l’epoca, ma quanto moderno e sostanziale oggi.

Tantissime le chiavi di lettura, tanti i riferimenti. Tanti i generi e gli stili.

La Wunderkammer di un’epoca intera, con una guida sapiente, intelligente, volitivamente femminile.