Il treno è parecchio in ritardo e la banchina, di solito ventilata, a quest’ora è in pieno sole.
Nutro, perciò, la velata preoccupazione di arrivare in libreria con la stessa consistenza oleosa (e chissà magari anche l’odore) di un salmone affumicato in busta.
E sì che per arrivare in tempo e trovare un parcheggio ho insultato almeno due anziani sulle strisce – uno col girello – un’ apprendista con la P gigante e l’operatore ecologico (che in effetti dopo tanti anni di conoscenza da parabrezza a parabrezza credo sia un filo indietro di cottura).
Un bel grumo di stronzaggine indispettita in tuta blu, questo ero, mezz’ora fa, nell’abitacolo.
Tutta questa fretta, questa greve cattiveria e poi arrivare qui, su questa banchina, per prendere un treno che non c’è.

E mi vergogno di questa piccolezza che sono capace di essere al chiuso di un abitacolo tutta concentrata sull’arrivare in tempo.
Una piccolezza inutile. Brutta.