Scrivo all’alba.
Esco di casa, mi sorprende la nebbia, spessa, novembrina – arriverò tardi.
Oggi è giorno di novità. Copertine nuove da guardare, risguardi da sistemare, valutazioni di opportunità da fare.
Oggi aspetto, come molti, l’edizione italiana de Le nostre anime di notte di Kent Haruf.

So che non dovrei ma sono contenta a metà. Sono contenta perché è un libro meraviglioso, come gli altri.
Perché dei giovani editori avranno il giusto riconoscimento per averci creduto.
Mi ricordo di quando arrivò, in inglese, Benedizione, ancora da annotare: arrivavo da Gilead e dopo la Grazia, mi serviva una benedizione, ancora. Lo lessi in un paio di giorni. Ne parlai solo con pochi amici, gli unici che mi pareva fssero in grado di capire.
Perché poi, invece, c’è la metà di me riottosa.
Quella gelosa, quella che mette in mano alcuni libri solo a poche, scelte persone. Quelle che potranno capire.
Pochi amici.
Pochi clienti – prima li osservo, li ascolto.
Lo so. È necessario diffondere la bellezza. Giusto, sacrosanto.
Ma quella bambina che pedala da pozza di luce a pozza di luce, la vorrei solo per me.
Vorrei solo per me il pesce e l’uccello per il tempo di una canzone, lo sguardo del pastore Ames, il ‘Niente mi è delizia tranne te’ declamati tra le pietre vulcaniche, il viaggio di Dell Parsons, le equazioni di Nina Cassian, la grande speranza di Magwitch. E altri ancora.

Febbraio 2017