19 luglio 1899
Amato Mordechai,
tra le ultime righe che mi hai mandato scrivi della casa, dei mobili che già vivevano lì e di quelli arrivati dal Crawford Market o da Andheri.
L’armadio pesante e scuro e il trumeau a cui manca la ribalta per scrivere e la chiave dei cassetti.
Il letto enorme e vuoto in cui crei uno spazio che non potrò mai occupare e lo sappiamo entrambi.
Anche io, qui, mentre cerco di trovare le parole adatte e mi si perdono nel frastuono delle voci degli ambulanti e nel fracasso dei carri che consegnano dall’alba carcasse di animali e latte e vegetali spenti – quel che abbiamo qui sembra autunnale e spento anche d’estate, ecco, anche io qui conservo lo stesso spazio nel mio, di letto.
E ogni giorno ripercorro i tuoi passi, a ritroso, in controtempo.
E chissà quando sarà quel giorno Mordechai, il giorno in cui ci potremo afferrare di nuovo le braccia.
E chissà alla luce di quale meridiano o in quale varco del tempo potremo occupare di nuovo la nostra ombra, adesso vuota, nel letto.
Tua,
Anna

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