‘È lunedì, la città si muove dietro il suo schermo di nebbia. La gente va al lavoro come gli altri giorni, prende il tram, l’autobus, sgattaiola sull’imperiale e si perde in fantasticherie nel grande freddo.
Il 20 di Febbraio di quell’anno, tuttavia, non fu una data come le altre. Eppure la maggior parte della gente passò la mattinata a sgobbare, immersa nella bugiarda decenza del lavoro con quei piccoli gesti in cui si concentra una verità muta e decorosa, e in cui tutta l’epopea della nostra esistenza si rivela una diligente pantomima. La giornata trascorse così, serena, normale. E mentre ognuno faceva la spola tra la casa e la fabbrica, tra il mercato e il cortiletto in cui si stende il bucato, poi la sera tra l’ufficio e il bar, e finalmente rincasava, ben distante dal lavoro decente, ben distante dalla vit
a familiare, davanti a un palazzo lungo la Sprea alcuni signori si accingevano a uscire dalle loro automobili’.

Sto avendo giornate molto lunghe e complesse. Continuo però a leggere molto, inseguendo, non so bene nemmeno io, se l’ottundimento o la passione.
Quando ho avuto in mano questo libro m’è presa quella strana frenesia, quasi febbricitante, quel solletico interno, che mi prende quando credo di avere in mano qualcosa di demonicamente bello – una frenesia che mi fa scattare in avanti sulle pagine. E quella frenesia ha ragione, sempre.