Solo nella mia stanza, mi sentivo completamente tagliato fuori dal mondo. Non ne ero per niente contento eppure era stata una forza interiore quella che mi aveva spinto a quell’isolamento.
Colin Wilson, Diari, 1954
È il 1956 e l’Inghilterra vede comparire sulla scena editoriale The outsider, il saggio filosofico di un ventiquattrenne alquanto peculiare, Colin Wilson.
È un operaio, un tuttofare, un impiegato, un fattorino: lasciata la scuola a sedici anni, vagola tra un’occupazione e l’altra, a patto che queste gli garantiscano il minimo adeguato per la sussistenza e soprattutto gli lascino il tempo per leggere e scrivere. Non di rado non avrà di che nutrirsi, ma nonostante la povertà incombente Colin divora, assorbe, rielabora. E scrive, scrive forsennatamente, abitudine questa che lo accompagnerà tutta la vita.
Da questi anni di studio matto e disperatissimo arriva The outsider, che nel giro di pochissimo tempo diventa un caso editoriale in tutto il mondo.
Colin Wilson ha, dunque, poco più di vent’anni quando elabora e dà in pasto al mondo le sue riflessioni sull’uomo e sull’arte, sulla figura dell’Outsider, il fuori luogo, il fuori casta che si rivolta al mondo (in un silenzioso e inconsapevole dialogo, anche qui, con Camus). Sono gli anni ‘50, anzi, gli anni ‘50
nella Londra degli absolute beginners usciti vittoriosi e euforici dalla guerra: la città dove ora tutto sembra possibile, nel bene e nel male.
Wilson sceglie di raccontarci il male, anzi il male assoluto e affascinante, in un romanzo noir denso di portati filosofici, nel quale Gerard Sorme, il giovane protagonista, dovrà confrontarsi con figure ambigue e fascinose: il misterioso e inafferrabile Nunne*, l’algida Gertrude Quincey, padre Carruthers, un anziano sacerdote cattolico. Tutti sono altrettante risposte alla ricerca morale di Gerard, in un gioco di specchi e labirinti apparentemente insolubile, incluso il personaggio di Oliver Glasp, giovane pittore disperato, preda della fame e della sua incapacità di compromettersi col mondo, l’innocente totale che ricorda ed echeggia da vicino le vite di giovanissimi artisti ai loro esordi in quella stessa Londra da Francis Bacon a Lucien Freud, Paula Rego, Leon Kossoff, Michael Andrews e Paul Auerbach, i ragazzi fuori casta di quella che sarà poi conosciuta come Scuola di Londra. Tutti compagni di strada ideali di Wilson, tutti in qualche modo tesi a scavare dentro l’umano, ossessivamente e spesso senza ottenere alcuna risposta.

(*Nunne nella pronuncia ha suono simile a ‘none’, nessuno)
Colin Wilson, Riti notturni, Carbonio editore, 2020, traduzione di Nicola Manuppelli
https://carbonioeditore.it/le-collane/riti-notturni-colin-wilson/
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