‘Non importa se stai bene o male, se sei infelice o pensi a te come un miserabile senza speranza. A livello cellulare il ciclo di riproduzione si svolge per tutti allo stesso modo. A livello cellulare l’inadeguatezza non è codificata’.

Esiste, nel glossario anglosassone della critica letteraria da fascetta, il termine, pressoché intraducibile, unputdownable, ovvero ‘impossibile da metter via, da lasciare andare’.
Impossibile dedicarsi per esempio a un film o alla preparazione della cena per l’adolescente famelico di ritorno dal calcetto (e fatti una pasta dài, sto leggendo diosanto!).
Questo è un libro così. Unputdownable.
Si insinua subito, dalla prima pagina, nelle pieghe dei pensieri.
E stai lì, con la copertina appiccicata alle dita (niente, non si può lasciare), a seguire questa partita di scacchi.
Senza fiato, scorrendo insieme a una scrittura tanto apparentemente ‘facile’ quanto invece intelligente.
E finisci così, seduta su un marciapiede della stazione, a libro ufficialmente chiuso, emozionata. Vinta.
Sarò molto onesta.
In generale ho sviluppato una forma leggera di idiosincrasia e fastidio per la narrativa italiana contemporanea.
Con delle rare eccezioni.
Questa è una, e forse la migliore, degli ultimi anni, per me.