Le vedi, le vedi le foglie che non cadono?
E questo caldo malato che ci portiamo appiccicato addosso, che ci scivola oleoso sulle guance, lo senti anche tu?
Il cielo è gonfio e umido ma non si spacca, e a mezzogiorno ci restituirà un riverbero di sole, una macchia gialla, più che altro.
I vetri sporchi della macchina, il semaforo demente sulla Comasina, e discutiamo, sotto le voci mi arriva London calling, e lo so, lo so che sei diverso da me, sarai un adulto differente, conservatore, pragmatico, dalle logiche inflessibili e diverse dalle mie e a te di Londra che chiama non fregherà niente e non è per la musica, no.
È tutto il mondo che ci sta dentro: le rivoluzioni abortite, le urla silenziate, l’incontro di un mondo nuovo possibile e la delusione.
Il dubbio.
Tu, invece, sei tutto qui e adesso e subito, possibilmente. E non è capriccio. È il tuo tempo che è così e non è il mio.
Io sono definitivamente asincrona.
E goffa.
E stamattina ho anche messo una calza blu e una nera e smadonno ma ringrazio perché, almeno per oggi, non sarò al lavoro.
Inarchi un sopracciglio, un modo come un altro per liquidare questa madre salterina e sgraziata che ti tocca.
Eppure, mi chiedi delle foglie.
Cadranno, Andrea, queste foglie.
Cadranno tutte insieme e faranno talmente fragore che si sentirà per chilometri e chilometri.
E ci assorderà tutti.
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