L’immagine è un campo lunghissimo: verdi impossibili in basso, azzurri impensabili in alto. A destra l’arancio fuoco dei capelli di una bambina, ai confini del mondo.

È con questa immagine pittorica, folgorante che ho conosciuto Janet Frame, attraverso un film ispirato alla sua autobiografia, Un angelo alla mia tavola, diretto da Jane Campion e perfettamente aderente e fedele alla narrazione.

Janet è una bambina povera, goffa, sgraziata. A scuola viene derisa dai compagni per i vestiti vecchi, per il suo aspetto bizzarro. Anche gli insegnanti non la sopportano e viene lasciata in un angolo, come se fosse un pupazzetto di pezza malandato e sporco, finché uno di loro non si accorgerà di lei, le regalerà le fiabe di Grimm e tirerà fuori da una bambina invisibile un talento innaturale per la scrittura.

Al fine di ingraziarselo scriverà in un tema di un suo tentativo di suicidio (aveva ingoiato tre aspirine) e questa finzione narrativa le costerà carissima: diagnosticata erroneamente come schizofrenica, viene rinchiusa in un manicomio. Tutte le mattine di quei lunghi anni verrà sottoposta a sessioni di elettroshock.

Si aggrappa agli oggetti, Janet. I suoi calzini di lana portafortuna, le tazze per il tè, gli attrezzi per i lavori domestici che esegue con cura religiosa sperando di farsi rivalutare come ‘normale’.

E scrive, scrive su qualunque pezzetto di carta le capiti a tiro, consegnando alla sorella venuta in visita ogni frammento.

Una buona sorella, direi: organizza i frammenti in una raccolta di racconti (La laguna), li spedisce a un premio letterario prestigioso* che Janet vince e le procura il rilascio dal manicomio.

Da quel momento viaggerà, continuerà a scrivere, mettendosi in discussione sempre (fa rivedere la sua diagnosi di schizofrenia, incredula). E le cose che scrive sono intime, piene di una grazia interiore lucida e lucente, che siano poesia o romanzi o testi autobiografici.

Da quel primo premio, che le regalò la libertà e il mondo, Janet Frame è stata candidata due volte al Nobel. Niente male per una ragazzina goffa, con i capelli di fuoco che illuminavano il verde e il blu dei confini del mondo.

*Lo Hubert Church Memorial Award, premio letterario nazionale neozelandese.