Il Tempo dirà la verità.
Non so se ho ingoiato questa regoletta insieme ad altre apprese nell’infanzia oppure se è schiumata da sè nello scorrere dei giorni della mia vita.
Una formula consolatoria per dare un senso alla nostra (mia?) storia personale.
Un’evidenza scientifica in cui credevo ciecamente.
Perchè la storia o la storiografia, meglio, è scienza, giusto? Si raccolgono materiali.
Reperti. Documenti. Si analizza e verifica la bontà delle fonti.
Delle testimonianze.
Ma le testimonianze sono anche memorie. Ricordi.
Già. Ricordi.
E allora il tempo, non dirà più la Verità.
Perchè la memoria, il ricordo che tiene insieme tutte queste evidenze con il suo filo emotivo, la memoria tradisce.
Rinnega i fatti e le evidenze.
Tira conclusioni fallaci ribaltando gli assunti.
Si inceppa su dettagli deviando il corso vero dei fatti.
Accende riflettori su alcuni momenti, donandoci spettacolari certezze sul vissuto, e ne relega altri, egualmente importanti ad una zona cieca, oscura. Talvolta ineluttabilmente morta.
“…che cos’è la Storia?..”
“La Storia consiste nelle menzogne dei vincitori”.
“Sì, temevo avresti dato questa risposta. Va bene. A patto però che tu tenga a mente che la Storia è anche l’autoinganno degli sconfitti”.
E in questo romanzo l’autoinganno del protagonista è durato quarant’anni.
Quarant’anni di una Storia che per lui hanno tutta la forza del reale, del suo vissuto esattamente per come “ricorda” di averlo vissuto.
Però il ricordo è mendace; la memoria può, seppur incolpevolmente, tradire.
E allora per trovare dell’oggettività in quello che fino a quel momento gli è parso “il Vero” (mentre galleggiava nelle placide e autoassolutorie acque del verosimile) deve divenire storiografo di sé.
Ma ciò che è vero può davvero mordere e fare male. Rimettere in discussione una vita.
Evidenziare errori, cattiverie.
Che hanno morso, ferito e
forse persino ucciso.
E farsi carico del morso di ritorno, del ri-morso, anche.
“Questo è uno dei nodi cruciali della Storia, giusto? La questione dell’interpretazione oggettiva contro quella soggettiva; il fatto che dovremmo conoscere la storia dello storiografo al fine di comprendere la versione che ci viene servita”.
Soggettivamente parlando questa storia di Barnes, che sa unire scrittura e narrazione, riflessione ed emozione in un piccolo, pietroso pugno, ha colpito dritto, a fondo.
Giù.
E no, il Tempo non dirà la verità.
E non sta dalla parte di nessuno.
Julian Barnes, Il senso di una fine, Einaudi, traduzione di Susanna Basso

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