Ho passato buona parte della mia infanzia a casa dei nonni materni, solidi contadini pugliesi sradicati a Milano, non avevano esattamente il gusto delle lettere.
Amavano di più la musica e l’andar per campi in cerca di erbe selvatiche (lui) e i lavori cosiddetti femminili (lei). E questa lei comprava mucchi di riviste, una su tutte Bella, che ogni tanto allegava un libro.
Io, che invece ero venuta fuori così, un po’ balzana per loro, così affamata di penne, matite e carta e alfabeti, questi libri li compulsavo come fossero tomi di metafisica.
Uno dei miei preferiti, a casa di nonna, era La ragazza chiamata Carità, in un’edizione Oscar Mondadori. (Già solo pochi anni dopo rinnegavo furibonda queste letture, dedita a scapigliature e maledetti, ero tutta molto gotica e posé). Ritrovai la Heyer solo molto tempo dopo sugli scaffali della libreria, quando Astoria, decise di tirarla fuori dalla polvere per restituircela e non nego che quando uscì il primo lo presi sull’onda della nostalgia per poi finire per leggere tutto, in inglese, dandomi un po’ della cretina per averli così snobbati (quando anche una delle regine della letteratura come Antonia Byatt li amava e scrisse un necrologio meraviglioso e malinconico alla sua morte).
Georgette Heyer scrisse moltissimi romanzi e quasi tutti con un’ambientazione storica descritta con scrupolo da studiosa (la sua descrizione della battaglia di Waterloo in An infamous army è grandiosa e ineccepibile).
Innamorata di Jane Austen, riprende l’epoca della Reggenza e come nei romanzi della Austen, le sue donne sono qualche passo avanti rispetto al loro tempo. Molte delle trame girano ovviamente intorno al marriage market così necessario al tempo (e del quale Thackeray ci regala un affresco divertente e corrosivo ne La fiera delle vanità) eppure, nonostante la ripetizione di schemi (ed eventi) non annoia mai. Autrice anche di una serie di gialli godibili e divertenti, nonostante i milioni di copie di libri vendute visse sempre elegantemente ritirata nel suo mondo minimo, famigliare: la socialità era riservata solo alle sue donne sulla carta, che faceva parlare per lei.
Insomma, una ragazza perfetta per l’ora del té.

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