La rivoluzione in salotto.

Sono piccoli gioielli i romanzi di Elizabeth von Arnim. Rimasti per decenni a impolverarsi, smarriti o volutamente sepolti dalla memoria della critica, che accostandoli antiteticamente alle opere di Virginia Woolf, ce ne ha tramandato un’immagine che non corrisponde al loro effettivo valore ovvero quella di letteratura biedermeier, legata esclusivamente a valori borghesi; placida, da merenda nel salottino buono.

Quale (per me imperdonabile) errore non riuscire invece a vederne la carica dirompente, la capacità di approfondimento psicologico. L’ironia e il crudo sarcasmo, anche, volto a colpire proprio quella società borghese con la quale invece, e a torto, la si voleva identificare e costringere. Il linguaggio dinamico, forte di una capacità descrittiva di ambienti e esseri umani brillante, da specchio impietoso.

Elizabeth scrive di donne. Scava nelle loro profondità, nelle paure. Osserva dall’interno le passioni che le muovono. Le riscatta da un ambiente che le vorrebbe sottomesse, silenziose. Ignoranti, soprattutto.

E il motore che sceglie per avviare questa marcia di ribellione è l’amore. Gli amori. Quelli segreti, coltivati come giardini luminosi. Quelli “socialmente impossibili” della maturità, come in “Amore“, scritto in maniera parzialmente autobiografica, nel 1926 e che scelgo come simbolico.

Catherine, vedova ormai quasi cinquantenne, incontra un giovanissimo e dirompente Christopher a teatro. Incredula e sorpresa dalle sue attenzioni, si scopre pronta di nuovo per la tenerezza, per vivere una giovinezza rinnovata, piena. Non verrà ovviamente accettato questo amore, guardato anzi con orrore e cattiveria da amici e famigliari.

Ma è anche Catherine stessa che da innamorata, a sua volta, non riuscirà più ad accettarsi perché, accecata dalla paura di perdere i suoi affetti, si vede con gli occhi inflessibilmente chiusi ai sentimenti, della società che la circonda: non è una donna che ama ed è amata ma un’anziana patetica, ridipinta. Che arranca ridicolmente per correre al passo dell’età del suo uomo.

La solitudine, la perdita di sé, della sua immagine, la battaglia quotidiana contro il terrore per il tempo che sembra scorrere sul suo viso ad ogni minuto, sembrano l’amaro prezzo da pagare per questo amore.

E’ qui ed è con smarrimento che si arriva a constatare quanto le briglie sociali, i paletti morali e persino estetici inflitti alle donne siano esattamente gli stessi di oggi. Di quanto fresche, attuali ed esplosive possano essere le valutazioni di questa autrice.

Di come le rivoluzioni, tanto quanto la barbarie, comincino a casa.

Nel salotto buono, possibilmente.