2 aprile 1899

Mio caro Mordechai,
la pioggia inchioda sputi di polvere sulle finestre da giorni. Sulle pareti spuntano strani e minuscoli fiori di calce e nitrato e mi ricordo del sole e del caldo nei giardini sulla Deribasovskaja e i dente di leone maturati a frutti da soffiare.
Viviamo affamati, Mordechai, brutalmente concentrati sull’impresa di riempire i nostri vuoti fino a starne male. Prigionieri di una fame perenne che ci costringe alla ricerca incessante e a penose indigestioni.
Per questa fame oscuriamo la ragione, distruggiamo regole e persone e tutto ciò che di buono abbiamo e siamo; eppure, senza di essa saremmo inerti e sprecati. Siamo dunque presi in una trappola costante che ci spinge a vivere di rapine e a pentircene un momento dopo. A essere disumani e troppo umani, insieme.
Ma è un pentimento breve.
Perché è questa fame che ci tiene in vita ed è quella che ci ricorderemo una volta spenti.
Ti aspetto ancora Mordechai, affamata.
Tua,
Anna