10 gennaio 1901

“I dreamt about you last night

and I fell out of bed

twice”

Amato Mordechai,

il freddo ci stringe come un pugno e il suo colpo mortifica ogni tentativo di sole.

Dalle strade sono scomparsi tutti. Via i banchi del pesce, i carretti con i fogli da musica a un copeco, le pellicce, i colbacchi e gli streimlech, le trattative vocianti, gli scambi di alterchi tra cocchieri.

Via i ragazzini con le biglie, le madri con le velette da lutto, le braccia bionde delle giovani donne e i loro sussurri dietro alle mani.

Da dietro i vetri delle nostre case siamo come cose piccole riposte, sbadatamente, in una tasca. Non scrivi da tempo, Mordechai e nella mancanza di parole i sogni si presentano più vivi che mai e prepotenti, demôni minori ma ciascuno con la sua precisa richiesta di carne e sangue e memoria. E al mattino è come se avessi dovuto vivere tutte le vite che non mi appartengono in attesa che ricominci, nuovamente, la mia.

Dovrei uscire, come chiede Varja, dovrei smettere di restare attaccata a un ombra di cui non sento più l’odore e che non parla.

Dovrei accettare altri incontri, concedermi il bene di dare altrove il mio collo e i polsi e le mani. Dovrei lasciarmi accogliere sotto altri abbracci e restituirli e ci ho provato, Mordechai, ci ho provato con la stessa ostinazione di chi deve raggiungere un traguardo esiziale.

Ma è del tutto inutile e resto ferma alla partenza: sono irredimibile e imperdonabile, sopra tutto imperdonabile, perché gli altri non possono mai essere un fine, una linea d’orizzonte da raggiungere in nome di dio sa cosa. L’unico risultato che ho ottenuto è stato quello di essermi infedele ed essere sgraziata. Crudele, anche.

Forse il tempo sarà quando farà più caldo, quando verremo rovesciati dalle tasche e ritrovati, noi, i minimi smarriti, le monetine inutili, i fazzoletti ormai asciugati. I fermagli dispersi. Quando potremo di nuovo guardare il sole.

Senza ombre né demôni nella notte.

Tua,

Anna

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