Questa è una storia che parla di dolore. Quello di due padri che perdono le loro bambine che è lo stesso dolore del popolo a cui appartengono. Ma è anche e soprattutto una storia che racconta il coraggio di sapersi ascoltare e vedere. Con perfetto equilibrio, Colum McCann si fa cronista delle infinite facce di questo dolore e di questo coraggio affidando il resoconto a un romanzo che è, anche narrativamente, specchio di tutti gli innumerevoli frammenti di vita che incontra e raccoglie. Un libro che invita alla riflessione, alla pietas, all’incontro e alla discussione. Pieno, finalmente, di respiro.
È un libro, questo, che mostra una una via per ritrovare una strada all’ascolto. Ciononostante ho fatto fatica a parlarne perché quando si parla di Israele e Palestina è più facile infilarsi lesti gli occhiali del proprio pregiudizio e delle proprie convinzioni, da una parte e dall’altra. Eppure, dopo tante osservazioni – anche belle – ombelicali, ritrovare della letteratura che permette il dialogo e anche, perché no, la discussione su questioni che sono nucleari per l’esistenza è stato emozionante. E voglio ringraziare tutti quelli con i quali di questo libro ho discusso, per il nostro appassionato scambio di riflessioni e idee.
Se un libro scatena la voglia di trovarsi, verificare, parlare del mondo, rimetterlo in discussione, da una parte significa che siamo ancora ‘vivi’, nonostante tutto.
Dall’altra mi viene, sommessamente, da dire, che la letteratura non è morta.
Colum McCann, Apeirogon, Feltrinelli 2021, traduzione di Marinella Magrì

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