“Vedo chiaramente nell’eguaglianza due tendenze: una che porta la mente umana verso nuove conquiste e l’altra che la ridurrebbe volentieri a non pensare più. Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere. Gli uomini non avrebbero solo scoperto, cosa invece difficile, un nuovo aspetto della servitù… Per me, quando sento la mano del potere appesantirsi sulla mia fronte, poco m’importa di sapere chi mi opprime, e non sono maggiormente disposto a infilare la testa sotto il giogo solo perché un milione di braccia me lo porge”

Alexis De Tocqueville, La democrazia in America

In “Parrot e Olivier in America” (Feltrinelli, 2011) Peter Carey ci racconta dell’incontro tra un aristocratico lealista francese, il giovane magistrato Olivier de Garmont, e la nascente democrazia americana.

Davanti allo stupore divertito (e divertente) del protagonista sfilano tutte le nuove istituzioni democratiche dell’ancora bambina confederazione democratica repubblicana: le assemblee cittadine, in cui a maggioranza si decide su ogni singolo aspetto della vita delle comunità, le celebrazioni delle feste nazionali, l’esaltazione della possibilità. La “terra delle opportunità”, per usare un’immagine trita.

Ispirato al viaggio in America di Alexis de Tocqueville, Carey riesce in maniera intelligente e sapida a ri-proporci alcune ambivalenze in cui Tocqueville si rigira. E nelle quali francamente mi rigiro anche io.

Come sentirsi ancora, oggi, democratici eppure individui?

Differenti e sì, lo dico, culturalmente aristocratici?

Com’è possibile conciliare l’individualità con la volontà della maggioranza?

E quando questa maggioranza si trasforma in massa?

Massa deriva etimologicamente dal greco màza, che corrisponde a materia modellabile; la creta, per esempio.

Senza scomodare Nietzsche, Canetti e Freud differenti e anche antagonisti sul concetto, per Luciano Gallino, la massa è “una moltitudine di persone politicamente passive” in posizione di oggettiva dipendenza dalle istituzioni di una società e quindi fortemente influenzabile da esse, incapace di organizzarsi e di esprimere una propria volontà.

Una maggioranza morta, dunque. Molle e manovrabile però. Serva volontariamente, per tornare ancora a Etienne de la Boètie, che riecheggia anche in queste righe ancora di Tocqueville.

“Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima… Al di sopra di questa folla, vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti. È assoluto, minuzioso, metodico, previdente, e persino mite. Assomiglierebbe alla potestà paterna, se avesse per scopo, come quella, di preparare gli uomini alla virilità. Ma, al contrario, non cerca che di tenerli in un’infanzia perpetua. Lavora volentieri alla felicità dei cittadini ma vuole esserne l’unico agente, l’unico arbitro. Provvede alla loro sicurezza, ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige gli affari, le industrie, regola le successioni, divide le eredità: non toglierebbe forse loro anche la forza di vivere e di pensare?”. (cit.)

Mi giro e mi rigiro e m’avvito, ragionando sul mio essere a sinistra, appassionata alle persone alla gente. Convinta della forza delle idee che tutelano il diritto di tutti all’uguaglianza, alla partecipazione. Al voto.

Ma se è la moltitudine morta ad esprimersi…a maggioranza?

Peter Bruegel, Feast of fools