Mi è capitato raramente di leggere in sequenza ravvicinata due romanzi così diversi tra loro.
Tanto il primo è apollineo, sinuoso, cristallino e musicale, quanto il secondo è, invece dionisiaco, tranciante, torbido e frastornante.
Il primo usa il veleno del ricordo per colpire, il secondo ti abbatte a colpi di pugno.

Oltre Elisabeth (con la S) e Esch, le madri, i padri (assenti, presenti o putativi), oltre le stagioni a fare da scenario (l’autunno per l’uno, l’estate per l’altro) il vero protagonista di questi due romanzi è il Tempo.
Circolare e ossessivo per l’uno, incalzante e sagittale per l’altro.
Inesorabile e ineludibile per l’uno e per l’altro.
Il Tempo che orchestra la sinfonia di ricordi e rimpianti e mancanze o esegue martellante la sonata vertiginosa dei pochi giorni prima di un uragano.