7 luglio 1897

Mon cher Mordechai,
Vi scrivo dal porto di Varna in attesa di un imbarco per Odessa: da lì spero di trovare un passaggio per Mosca.
Ho sentito dire che le strade non sono sicure e, come forse vi ricordate, non amo viaggiare da sola sebbene, in virtù o maleficio dell’esistenza, sia costretta a farlo per lunghi tratti.
Questo ritorno immaginavo di farlo con Voi, almeno fino a Kiev.
Non mi aspettavo che Vi sareste congedato a Costanza con tutte le scuse e le giustificazioni del caso.
Le Vostre ferite non rimarginate, gli obblighi nei confronti di Voi stesso.
Certo, parole dovute e che stavo, in certa misura aspettando, eppure il risultato rimane uguale.
Mi rigiro tra le dita le spire di questa calyptraea che mi avete regalato, ruvida e asciutta e ancora odorosa di alga.
Un regalo incomprensibile, alla luce dei fatti, come i libri che avete pescato per me da un rigattiere sul lungomare.
Prima di Voi, c’erano stati dei Pečorin.
Dei Kuragin. Affascinanti e cinici quanto bastava per tenere la giusta e misurata distanza. Dei giocatori veri e crudeli come solo i giocatori sanno essere; fino all’alba, e fino all’ultimo rublo.
Al loro confronto, Voi siete un piccolo lupo di carta.
E come la carta sapete tagliare ed è, sì, un dolore bruciante e che stilla.
Ma non lascia cicatrice alcuna.
Con immutato affetto, Vostra
Anna.

[ispirazioni da Lermontov, Un eroe del nostro tempo e Tolstoj, Guerra e pace].