Voci, voci in continuazione, sopra, intorno, sotto e rumore e luci, tutto troppo forte, troppo vivo, troppo prepotente, enorme, fuori taglia per me che non riesco ad arrivare ai cinquanta chili e non ho testa, o ne ho troppa, una bambina macrocefala in un abito che non è più suo, ma questo è quanto e te lo devi tenere, eppure già stamattina la luce lo aveva detto che era no, anzi no e poi no, e bisognerebbe cedere con grazia all’anarchia del corpo e della testa e mostrare la debolezza nuda, quella per la quale non c’è dovere che tenga, né sentimento. Sono stanca, sono debole, e questo è quanto ed è l’unica cosa che scriverei sul mio certificato di assenza, se qualcuno me lo chiedesse. Stanca, debole e anche banale e in cerca come tutti di quella cazzo di tenerezza che poi raspiamo con le unghie da una pagina di libro, da un fotogramma, dai nostri figli e animali e piatti cucinati e da messaggi e frasi altrui catturate su un vagone della metro.