Mio Mordechai, l’estate si è infilata anche tra i sassi e i muri dei vicoli della Moldavanka. Nulla è mutato dalla tua partenza, tutto resta, impigliato tra la vetrina imperscrutabile, di sporco e fumo, del locale di Perelman; tra le pozze del lavatoio e i rivoli di scolo, tra i lampioni radi, i nuovi palazzi di stucco e ferro. E tra le voci dei marinai greci, le cavallette di Salonicco, diceva tuo padre, che arrivano, divorano e se ne vanno senza pagare.
Ho pensato, stanotte, di avere le doppie palpebre, come so di alcuni animali. Mentre cerco di dormire, immagino che una serva a chiudere fuori i sensi, l’altra la ragione. E in questa assenza di sensi e ragione, rimane, così, libera di spalancarsi, la porta del sogno, quello che ci tiene legati e sospesi come luminarie sottili.

Solo minuscole luci che pulsano sotto cieli diversi e che in mari diversi, prima di addormentarsi, sprofondano.

Vicini.
A stanotte Mordechai,

tua Anna