30 giugno 1900
Mio amato Mordechai, la linea d’orizzonte sul mare si è ingrossata di alghe e fasciame strappati dal porto di Costantinopoli dal morso furibondo di Lodos. Centinaia di gabbiani si raggruppano in cumuli sui relitti che, da questa finestra, appaiono come un palazzo mobile, diretto al porto.
Le nuvole, grasse e salate fanno da tetto a questo caldo improvviso e da cassa di risonanza alle eco nei cortili; le voci ingannevoli dell’estate in questa città impopolare e disumana.
Restiamo sospesi, nel calore, nella fluttuazione dei nostri respiri, in attesa che le nuvole si spezzino, finalmente, per portarci di nuovo acqua e realtà.
E in questa sospensione, Mordechai, mi ricordo della nostra, in attesa di un bacio nuovo, era sempre nuovo, nascosti nell’erba del parco di Alessandro, nell’estate che fu di lamponi, di dita, di bocca e di sale, del tuo odore, che non perdo, Mordechai, ma attendo, come oggi, che Lodos, a dispetto della sua crudeltà, ne porti almeno una molecola con sé.
Tua, Anna

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