2 febbraio 1900

Mio Mordechai,
sono giorni strani questi e non so più se sono io, se sono l’assenza e il silenzio a rendermi risonante e fragile come un bicchiere di vetro sottile. Sottile e scadente, come quelli che comprammo insieme al mercato della Pryvozna e ci scherzavamo sopra, sarebbero esplosi come bolle di sapone al primo tè.
Ma li prendemmo lo stesso, il filo d’argento di cristallo sul bordo ti faceva pensare a bicchieri uguali, di cristallo quelli, nella vecchia casa di tua madre.
Fantasmi anonimi suonano alla mia porta nel cuore della notte, da giorni. Sono loro o sono io a intendere un suono per un altro?
Ne parlo con Ziphra, Ziphra è l’unica che può comprendermi in questa tua assenza che è diventata la mia.
Mi dice che siamo tutti, o almeno molti di noi, come bicchieri di vetro sottile, allineati sullo scolatoio, passati indenni tra mani grossolane e tè bollenti, fino al prossimo rischio e mentre scoliamo, preghiamo che qualcuno ci veda e compatisca.

Ci asciughi dell’acqua e ci consoli.
E questo bisogno di compassione, terribile, per la nostra condizione di imperfetti, spegne e ingoia anche l’amore.
Perché ci basta uno sguardo qualunque. Purché sia.
Tua, Anna.